Speedgöat: l’intervista a Helgast

La band speed metal bresciana Speedgöat composta da Niccolò Papini (voce e basso), Federico Guarienti (chitarra elettrica) e Helgast (batteria) ha da poco pubblicato l’omonimo debut-album “Speedgöat” ed ha già avuto modo di calcare palchi importanti condividendoli con band del calibro di Sepultura, Brujeria, Cadaveric Crematorium, (etc.).

Per l’occasione abbiamo intervistato Helgast camaleontico batterista con un background musicale davvero rilevante.

Dagli Eternal Funeral arrivando oggi agli Speedgöat (ma non solo) ti troviamo in svariate vesti musicali, ti chiedo di raccontarci il tuo lunghissimo background musicale. Cosa significa per te oggi essere un batterista? In che modo riesci ad intrecciare gli svariati generi che proponi attraverso le band di cui fai parte? 

La prima volta che ho preso in mano le bacchette era il Febbraio del 1990, volevo fin da subito suonare metal ma mi sono reso conto che prima avevo bisogno di fare una discreta esperienza per potermi approcciare a questo genere e di conseguenza per un paio di anni ho suonato rock.

Questa prima avventura mi servì molto soprattutto perchè ebbi modo di iniziare a padroneggiare in maniera discreta anche l’uso della doppia cassa, cosa che mi concesse di unirmi agli Eternal Funeral (black metal) anche se il sentore di non essere completamente appagato suonando solo un genere musicale era già nell’aria, infatti parallelamente agli Eternal Funeral suonavo insieme a mio zio in una band cover blues.

Purtroppo per divergenze musicali e personali la mia esperienza con gli Eternal Funeral giunse al termine e la band si sciolse ma fortunatamente ebbi l’occasione di proseguire con il back metal unendomi ai Mortuary Drape, band di cui ero un accanito fan nonchè membro attivissimo del loro fanclub tant’è che io e Walter (voce) tenevamo una fitta corrispondenza postale.

Suonai con loro dal 2001 al 2006 con i quali incisi un solo album “Buried in Time” (2004) definito dalla critica musicale il loro peggior lavoro in quanto non rispecchia in maniera omogenea il sound  della band. I problemi personali non tardarono ad arrivare e presto dovetti lasciare anche questa formazione.

In tutto questo tempo non dimentichiamoci che portavo avanti parallelamente anche un’altra esperienza, quella con la cantante e autrice bresciana Gaia Riva (pop) considerata una sorta di Anouk italiana.

La mia militanza all’interno del metal mi portò indubbiamente delle grandi ferite, rimasi molto scottato da questo ambiente e la cosa mi spinse ad inoltrarmi in altri  paesaggi sonori, fu così che mi buttati a capofitto nel grindcore suonando con gli Snotty Holes. Non scorderò mai quando partecipammo al Grind Your Mother Fest o quando condividemmo il palco del Latte+ di Brescia con i Cripple Bastards.

Ma la batosta era nuovamente dietro l’angolo, anche questo progetto sfumò in men che non si dica e fu proprio in questo periodo che meditai l’ipotesi di smettere completamente di suonare ed in effetti per qualche mese successe, ma frequentando assiduamente la Latteria Molloy (all’epoca lavoravo praticamente accanto) ebbi l’occasione di conoscere Blodio e Andrea Van Cleef e tutto ritornò sui propri binari. Erano alla ricerca di un batterista per la loro band dark rock Van Cleef Continental e per me fu oltre che una nuova esperienza una boccata d’ossigeno.

In tutto questo lasso di tempo hai avuto anche modo di arricchire i tuoi tecnicismi, il tuo stile nel suonare la batteria. Ogni band portava con sé un certo bagaglio musicale. Concordi?

Per un autodidatta come me è stato fondamentale, l’idea e l’approccio di suonare svariati generi musicali arrivò anche per questo motivo, mi resi subito conto che più variavo più il mio bagaglio tecnico aumentava perchè mi metteva costantemente nella posizione di imparare cose nuove.

Questo approccio mi portò anche ad avere una tribute band dei The Beatles, ci chiamavamo Yellow Matters e mi cambiò completamente come batterista.

Possiamo tranquillamente dire che l’essere per scelta autodidatta non ti ha mai limitato nel suonare…

Tecnicamente no. Mi ha sicuramente limitato per gli sbocchi professionali, se avessi studiato probabilmente avrei potuto fare altre esperienze. 

Non hai mai pensato di approcciarti adesso allo studio della musica?

A quasi cinquant’anni ci ho pensato diverse volte ma poi mi sono detto “ma chi me lo fa fare?” non avrei nemmeno il tempo, se devo scegliere preferisco suonare. Ho dovuto combattere tutta la vita con un lavoro “normale” e parallelamente suonare adesso che lavorando a Radio Onda d’Urto riesco finalmente a gestire il tutto senza problemi, non voglio buttare nemmeno un secondo del mio tempo per fare altro che non sia suonare dal vivo.

Veniamo agli Speedgöat e raccontaci come torni al metal, come nascono ed in che modo si inseriscono all’interno di questo panorama.

Suonavo nella Hell Spet Country Band dove nella line-up erano presenti Federico Guarienti (chitarrista) e Niccolò Papini (bassista e cantante) fu quest’ultimo che ebbe l’idea di formare gli Speedgöat, aveva nel cassetto una manciata di brani scritti da lui e ci propose di avviare questo progetto. Dopo aver provato i brani solo un paio di volte andammo subito a registrare il primo omonimo disco (Aprile 2024). La cosa bella è che ci fu fin da subito un’intesa immediata, un’unione di intenti, a volte mi sembra di suonare con me stesso, c’è una sinergia pazzesca tra di noi. Sperammo fino all’ultimo dopo la registrazione dell’album avvenuta presso gli Unreal Studios di Paolo (chitarrista dell’Uomo Involtino e il Putrido Liquame e dei The Mugshots) di trovare un’etichetta che ce lo pubblicasse ma non trovandola decidemmo di autoprodurlo (disponibile al momento solo in digitale). Il disco è stato registrato in pochi giorni grazie anche alla grande sintonia che si era creata con Paolo, la parte più lunga è stata il mastering in quanto volevamo un lavoro davvero certosino. Prendemmo diversi dischi di riferimento tra cui “Bastards” dei Motörhead e “The Gathering” dei Testament cercando di riprodurre quelle sonorità, un’impresa difficile ma Paolo ha fatto un lavoro incredibile e noi siamo molto soddisfatti del risultato.

Gli Speedgöat sono una band da ascoltare live, il disco è molto bello ma sono sicuro che se venite a sentirci dal vivo vi sorprenderemo, i live-report di alcuni nostri concerti come quello con i Sepultura alla Festa di Radio Onda d’Urto o il più recente con i Brujeria allo Slaughter Club sono molto positivi a nostro riguardo. La nostra dimensione è proprio quella del live, personalmente mi interessa di più un buon live-report che una buona recensione dell’album, siamo di maggior impatto dal vivo che su disco.

Qual è il concept che lega questo primo vostro lavoro?

L’album in sé non ha un vero e proprio concept i brani non sono legati tra di loro, sono tutti testi che si avvicinano alle dinamiche del glam, un po superficiali, “Party hard in hell” ad esempio racconta di un festa all’inferno in cui si costringe una persona astemia a bere alcool, “Just for you” è una dedica che il nostro Nicco ha voluto fare a se stesso ma a mio avviso valida anche per me e Federico. “Kerosene” (il primo estratto singolo) parla di motociclisti dannati, tra l’altro per questo brano abbiamo realizzato in perfetto stile DIY (Federico è un bravissimo videomaker) un videoclip girato al Monamì Live Social Space di Montichiari che ringraziamo per averci ospitato.

Tornando alla tua domanda, per lo più il fil rouge è legato attorno alla band,  la mia interpretazione è questa: una capra morta che risorge e torna nel mondo per rimettere le cose al suo posto combattendo le ingiustizie con estrema violenza passando quindi dalla parte del torto, l’ idea  è di Niccolò.

Siete già al lavoro per qualcosa di nuovo?

Si, abbiamo già quattro pezzi che seppur non ancora registrati proponiamo live ad ogni concerto. L’idea è quella in futuro di racchiuderli in un EP. Questi nuovi brani seguono la falsariga dell’album ma sia musicalmente che a livello di testi sono decisamente più maturi, li abbiamo sviluppati tutti e tre assieme. Troviamo una scrittura più ermetica e carica di significato penso a “Speed of the goat” che vanta un testo brevissimo ma racchiude appieno il concetto della nostra band, non vedo l’ora di andare in studio a registrarli.

Prima di salutarci ti chiedo come vedi il panorama metal italiano (considerando anche le tue passate esperienze)?

Non so realmente rispondere a questa domanda perchè sono fuori dai giochi da diversi anni ormai, se c’è una scena e francamente credo che ci sia, io non la conosco e ne sono completamente fuori. A mio avviso ci sono meno band rispetto agli anni ’90, sono cambiate un sacco di cose anche a livello tecnico, tutta questa digitalizzazione ed il poter comunicare in maniera così rapida ed immediata ha sicuramente raffreddato lo spirito di collaborazione tra band e band. Per andare a suonare un concerto oggi serve necessariamente un’agenzia di booking a meno che tu non decida di organizzare il tutto con le relative problematiche e rischi che esso comporta. Una volta ci si aiutava, ci si supportava a vicenda. 

Colgo l’occasione per ricordare due cose, la prima è che saremo presenti al Festival Habemus Metallum di Trento il 13 Settembre quindi vi aspettiamo. La seconda è un incoraggiamento  a supportare le band underground acquistando il loro merchandising, inutile ricordare che anche il buon vecchio “passaparola” è di grande aiuto.

Grazie dell’intervista!

Instagram: http://www.instagram.com/speedgoat666

YouTube: @SpeedgoatSpeedmetal


Pubblicato

in

da