Un viaggio nell’hardcore con Till Death, Do you care? zine, Crossed shows, In your face, Pariah Posers, Cagliari Hardcore e Never Cursed: sette realtà che a Bergamo, Cagliari, Padova, Roma ed in Emilia Romagna ne scrivono, organizzano concerti, ne promuovono valori ed etica, ma sono anche il cuore di One Scene Hardcore, il supercollettivo a cui hanno dato vita.
Partiamo dall’abc: che cos’ è un collettivo? Come vivete la sua dimensione?
È un gruppo di persone che condividono ideali, una determinata passione: nel nostro caso il punto di riferimento è la musica. In un collettivo le persone sono tutte sullo stesso piano e le decisioni vengono prese in maniera paritaria. Certo, ci possono essere delle figure di riferimento, coloro che spingono di più e altri che partecipano in maniera altalenante, ma tutti quelle/i che ne fanno parte lo fanno per una voglia di ritrovarsi tra simili, tra outsiders con le medesime idee politiche, gusti musicali.
Creare One Scene è stato come istituire una sorta di collettivo dei collettivi che mette insieme persone che vivono la musica allo stesso modo. Avere idee e gusti in comune non significa essere per forza uguali e che non ci siano difficoltà: non è assolutamente facile gestire e coordinare tante teste con varie personalità ma il modo lo si trova, nonostante gli impegni di tutti, cercando un equilibrio comune. Non siamo una booking agency quindi non abbiamo come obiettivo il profitto ma la creazione di occasioni, grazie a dinamiche do it yourself, che si basano sull’autoorganizzazione.
Quando è nata l’idea di One Scene?
Dopo un concerto a Padova, c’era tanta presa bene e Lorenzo di Till Death, Ivan di In Your Face/Crossed shows e i ragazzi di Padova si sono chiesti se non fosse il caso di fare qualcosa tutti insieme. Non c’è stato un momento fondativo, la prima assemblea, ovviamente online perché siamo tutti sparsi per l’Italia, l’abbiamo fatta a gennaio 2023 e da lì abbiamo iniziato a parlare del fatto di darci una continuità, quando organizzare una data tutti insieme… Dopo la prima assemblea sono poi entrate a far parte del collettivo altre realtà, le ultime a unirsi sono state Cagliari Hardcore e Never Cursed, qualche mese fa: chiunque voglia dare una mano, si senta vicina/o ai nostri ideali, ai nostri valori e voglia sentirsi parte di questa cosa è la/il benvenuto!
Il fil rouge tra voi è l’hardcore: for dummies, di che cosa parliamo quando ne parliamo?
Questa è una domanda molto interessante e al contempo una di quelle alla quale ognuno di noi potrebbe darti una risposta diversa, contando che abbiamo background ed età differenti.
Ci siamo fondamentalmente avvicinati tutti alle sottoculture perché percepiamo una crepa in fondo, dentro, in ognuno di noi. È un qualcosa che non ci piace ma che va affrontato, trasformato: l’hardcore ha saputo accoglierci perfettamente tirando fuori il disagio, facendocelo sputare fuori sotto varie forme… c’è chi lo scrive, lo racconta con le foto, chi con la musica… L’hardcore ti consente di tirare fuori il mostro che hai dentro, ti fa sentire a casa e dare una definizione di cosa sia, ben precisa, è complicato. La popolazione che lo vive è gente che tendenzialmente non ama come sta andando il mondo, è un genere che porta con sé una serie di valori e una forte caratterizzazione politica. Evitando lo spiegone storico, andare a un concerto hardcore per noi è parte di un percorso politico, spesso le persone che trovi alle serate le ritrovi ai cortei… un concerto hardcore ti consente di avvicinarti a concetti e ideali anche non musicali, grazie ai banchetti, alle persone che li frequentano, ai materiali illustrativi presenti, ai volantini, ai documentari proiettati spesso prima dei live.
L’hardcore porta con sé numerosi messaggi politici, etici, morali, tutto quello che si vuole. Poi chiaramente ci sono band più politicizzate e altre meno, ma le canzoni in questo genere sono uno strumento potentissimo, consentono alle persone di imparare, riflettere, conoscere, e durante i live, si crea una catarsi bellissima in cui ci si scambia messaggi, emozioni, energie, semplicemente cantando insieme le stesse canzoni. Questo, è il cuore pulsante di tutto l’hardcore.
Letture, ascolti e visioni che consigliate per farsi una cultura su tutto questo?
Libri: “American Punk Hardcore. Una storia tribale” di Steven Blush – Shake edizioni, “Costretti a sanguinare” di Marco Philopat – Agenzia X, “I ribelli della collina” di Valerio Lazzaretti – Red star press/ Hellnation libri, “My Riot – Agnostic Front: La mia vita hardcore” di Roger Miret e Jon Wiederhor – Red star press/ Hellnation libri, “Straight Edge. Storie, filosofia e racconti della scena hardcore punk” di Gabriel Kuhn – Shake edizioni, “Tranny – Confessioni di una punk anarchica venduta” di Laura Jane Grace – Tsunami edizioni.
Dischi: 7 Seconds – “The crew”, Affluente – “T.S.O.L.”, Bad Brains – “S.T.”, Bane – “Give Blood”, Colonna Infame Skinhead – “Discography”, Comeback Kid – “Wake the dead”, Earth Crisis – “Destroy The Machines”, Gorilla Biscuits – “Start Today”, Hatebreed – “Perseverance”, Have Heart – “The things we carry”, Killing Time – “Brightside”, Minor Threat – “Out Of Step”, Nations On Fire – “Strike The Match”, Negative Approach – “Tied down”, Negazione – “Lo spirito continua”, No Warning – “Ill Blood”, Short Fuse – “Sink or swim”, Sick Of It All – “Blood, Sweat and no tearsm”, Sinking Ships – “Disconnecting”, Stick To Your Guns – “Diamond”, Tear Me Down – “Morire Di Tolleranza”, To Kill – “Vultures”, Trapped Under Ice – “Big kiss goodnight”, Turning Point – “It’s always darkest…Before the dawn”, Turnstile – “Pressure to succeed”, Warzone – “Don’t forget the struggle, Don’t forget the streets”.
Film/Documentari: “American Hardcore”, “At The Matinée”, “EDGE The movie”, “Margini”, “RMHC 1989 – 1999 Hardcore a Roma”, “Se Ho Vinto, Se Ho Perso”, “Torino Hardcore”, “Virus Milano”.
Attorno ad hardcore e screamo c’è molto hype tra i giovani che frequentano l’underground negli ultimi anni: quando la parabola di entusiasmo fisiologicamente scenderà, cosa vorreste rimanesse?
Grazie appunto ai social, c’è stata una velocità di trasmissione dei contenuti incredibile, speriamo che il lato romantico, i concetti alla base dell’hardcore sopravvivano e non vadano persi nel tempo. Sui social sei bombardato da un sacco di contenuti e la verità dietro a tutti questi contenuti non sai effettivamente quale sia, cosa ci sta dietro. Quello che ti viene mostrato è una bella copertina, una foto di uno stage diving fico o come anche ultimamente è successo, le mazzate nel pit: l’algoritmo premia la violenza e le botte, immagini che fanno scena ma che possono avere un grande impatto; se un ragazzino fomentato vede solo quello, quando arriva al concerto pensa che l’hardcore sia solo un gran menarsi, ma non funziona così.
E cosa sperate si possa lasciare indietro?
I cazzottoni! Alcuni atteggiamenti come lo stage diving, il mosh, fanno parte storicamente dell’hardcore, ma il messaggio che deve passare è che bisogna prendersi cura degli altri anche nel momento di divertimento estremo: se mi butto dal palco e faccio del male a una persona, chiedo scusa, mi preoccupo come stia. Se un concerto diventa il pretesto per menare o se vai a un live con l’intento di fare del male, non va bene.
Come siamo messi a musica live nelle vostre città?
Bologna non ha mai avuto troppi problemi dal punto di vista della musica dal vivo, anzi, ci sono molti collettivi, booking, realtà che organizzano, il problema grosso attuale sono i posti, nel senso che continuano a chiudere o ne rimangono sempre meno. Se prima c’erano diversi posti autogestiti, nel tempo sono spariti o sbaraccati. C’è qualche club, Locomotiv, i circoli Aics tipo lo storico Freakout, gli Arci, ma anche loro devono affrontare criticità, per esempio legate ai rapporti col vicinato… A Roma nonostante i milioni di abitanti, ci sono più o meno le stesse problematiche che non ci stanno quasi posti.
A Bergamo e dintorni, pre pandemia c’è stato sicuramente un miglioramento della situazione musica dal vivo, ma dopo il 2020 la stangata è arrivata un po’ a chiunque si occupava di organizzare eventi ma c’è da dire che oltre a chi ha resistito, sono emerse nuove realtà. Come siamo messi oggi? I budget scarseggiano, le condizioni non sono delle più rosee e si prova a venirsi incontro creando una sorta di rete di collaborazione per far sì che comunque ognuno abbia il proprio spazietto e che ognuno riesca a proporre quello che meglio crede…
Al di là della vostra esperienza di supercollettivo in cui i membri collaborano e si supportano: come vi sembra quello che succede attorno?
Nell’hardcore quello che conta di base è l’attitudine comune: non formi un gruppo con l’obiettivo di fare strada, lo fai prima di tutto per condividere un messaggio… poi chiaro che se ti impegni puoi combinare qualcosa di serio con la musica – un esempio? Gli Speed – e che un po’ di sano individualismo come spinta ci stia sempre.
Una volta questo genere era una roba ghettizzata, era tutto un “sto con le mie persone/sto con la mia gente, sputo quello che non mi piace”, l’apice della passione comune era ritrovarsi a un concerto: Till Death, per esempio, ha preso il nome da una canzone degli Short Fuse, ed è nato solo per organizzare live di band che piacevano a quei tre gatti che inizialmente ne facevano parte!
Negli ultimi tempi, forse anche perché questo genere sta vivendo un momento fortunato, c’è invece più una tendenza a trovare il modo di monetizzare, a sfoggiare una cazzimma esasperata a dimostrare chissà cosa. Speriamo che l’attitudine e il romanticismo di noi “vecchi” non si perdano e possano essere compresi anche dalle/dai più giovani.
Di One Scene fanno parte anche due fanzine (Do You Care? zine e In Your Face, n.d.V.): che senso ha continuare a scrivere e addirittura stampare in un’epoca in cui i reels la fanno da padrona?
La risposta è apparentemente banale e forse può suonare “perentoria”: perché ce n’è bisogno.
Il sovraccarico di informazioni dell’attuale scenario mediatico è un dato di fatto ormai noto a chiunque.
Viviamo immersi in un costante flusso di informazioni, un bombardamento di stimoli provenienti da internet e social media che non conosce limiti. Viviamo la nostra identità frammentata in più canali, sempre più pervasivi, che ci suggeriscono costantemente contenuti, ne mostrano di apparentemente infiniti e ne nascondono altri ancora. Un discorso non nuovo ma che vale anche per la musica e, più in generale le nostre passioni. Stare dietro alle nuove uscite è quasi impossibile, le piattaforme di streaming rigurgitano suggerimenti in continuazione, i nostri profili Instagram e YouTube ci propinano video di band sconosciute fino al giorno prima. A volte è necessario fare ordine, e le fanzine cartacee servono bene questo scopo.
La scelta di una fanzine cartacea è anche, e soprattutto, in funzione di dare alle persone la possibilità di concentrarsi su quello che c’è scritto, di prendersi il giusto tempo per poterlo leggere e per uscire un po’ dallo schema “informazioni sparate a nastro sui siti + fruizione veloce”, che purtroppo sono le basi di come funziona la società oggigiorno.
Do You Care zine e In Your Face danno voce alla cultura hardcore con un lavoro editoriale ragionato, frutto di una selezione dei contenuti, che porti all’attenzione di persone come noi il presente e il passato di questa scena, spaziando, dando a lettrici e lettori un’idea di cosa era e continua a essere l’hardcore punk nelle sue sfaccettature, riunendo in un unico contenitore ciò che ritengono meritevole di visibilità. I membri delle loro redazioni sono sparsi per l’Italia, lavorano a distanza e fanno del loro meglio per ritrovarsi, proprio per questo occasioni come One Scene sono preziose e rafforzano i legami tra le persone di questo universo, dando la possibilità di continuare nella loro opera di divulgazione e di seguire l’unico criterio che li guida ossia la voglia di promuovere una cultura in cui si rispecchiano con l’obiettivo di dare a chi segue le due realtà un punto di riferimento per navigare ancora le acque di un mare in continua trasformazione e dare spazio, visibilità anche a progetti che faticano, che sono ai margini: una missione che fa dire “Sì, vale la pena investire in questo viaggio”.
Il prossimo 9 novembre, al Defrag di Roma, vi ritroverete per la seconda edizione del festival targato One Scene: com’è nata la line up di questa data?
Abbiamo cercato di fare qualcosa che spostasse la direzione presa nella prima edizione, quest’anno abbiamo voluto far suonare delle band con una tipologia di hardcore differente, fare un mischione di quello che c’è in giro oggi ma al contempo, con la reunion degli Opposite Force, raccontare un po’ di storia della scena di Roma, che è la città dove quest’anno si terrà il festival (nel 2023, la prima edizione è stata organizzata a Bologna, n.d.V.).
A parte Federica che fa parte della redazione di In Your Face, il resto dei membri di One Scene, sono solo uomini: com’è ‘sta cosa?
Ce lo siamo chiesti anche noi perché questo genere sia poco popolato da donne. Certamente l’animosità e la fisicità dei concerti hardcore, le sue sonorità aggressive, l’immaginario che porta con sé non è per tutte/tutti invitante e può anche essere visto come disturbante, ma di base quello che ancora oggi fa tanto è il nostro retaggio culturale distruttivo: per quanto una ragazza si emancipi e voglia sbarazzarsi degli stereotipi, è spesso soggetta a critiche e giudizi. All’estero, le cose stanno in parte diversamente, le donne sono molto più presenti nel pit ai concerti hardcore, le persone più in generale si lasciano maggiormente andare, dove la paura di essere giudicate/i è molto forte. Se ci pensi domandarsi perché in Italia ai concerti hardcore ci sono poche donne, va a braccetto col chiedersi perché ai live non ci sono immigrati o ragazzi di colore: la risposta a entrambi i quesiti è la stessa e va cercata alla radice del problema, ossia che da noi sembra quasi che i concerti siano una roba da maschio bianco privilegiato.
Quello che possiamo fare è cercare di essere sempre più inclusivi, rendere gli spazi sicuri, dove la gente si senta protetta, stia bene e possa sentirsi se stessa: è fondamentale far passare il messaggio che non ci sono discriminazioni verso nessuno.